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IL CANTO DI ULISSE

In questo capitolo del libro "Se questo è un uomo", Levi si ritrova a raschiare una vecchia cisterna insieme ai suoi compagni del Kommando, un lavoro di lusso per i prigionieri del Lager. Presto però Levi viene chiamato da Jean, il Pikolo del Kommando, colui che svolgeva i compiti di fattorino-scritturale. Jean comunica a Levi che da quel giorno sarebbe stato il suo aiutante nelle corvée quotidiane del rancio. Era un lavoro faticoso, ma comportava una gradevole camminata di andata senza carico.

Già da una settimana Levi e Pikolo erano diventati amici, ma raramente avevano la possibilità di parlarsi. Ormai quasi vicini alle cucine, Levi inizia a pensare a Dante, alla Divina Commedia, soffermandosi sul canto di Ulisse. Questo pensiero provoca in Levi una strana sensazione, ma vede come Pikolo sia attento, voglioso di capire, e allora comincia, lento e accurato a narrare e tradurre i versi di Dante.

Fra i vari versi che Levi riesce a ricordare, è importante fermarsi un attimo sulla terzina che dice:

“Considerate la vostra semenza:

Fatti non foste a viver come bruti,

Ma per seguir virtute e canoscenza”

Levi narrando il canto di Ulisse scopre il valore dell'essere uomo, che condivide insieme a Pikolo e a tutti gli altri uomini del Lager, pur nella drammatica condizione esistenziale che si trovano a vivere. Questo canto, ma soprattutto questa terzina, riguarda tutti gli uomini in travaglio. Il messaggio che Levi ci vuole dare è un messaggio molto forte, perché vivendo nel Lager e guardandosi attorno riconosce di non essere più un uomo, ma una bestia, il cui unico scopo è la sopravvivenza. Infatti ciò che distingue l’uomo dalla bestia è che l’uomo è in grado di ragionare e arricchirsi di conoscenza. Diversificarsi dalle bestie è appunto ciò che Levi cerca di fare e di insegnare a Pikolo per non lasciarsi andare e vivere come una bestia, ma preservare quei valori umani che aiutano a dare un senso all'esistenza.

 

 

 

DANTE E PRIMO LEVI: PARALLELISMI, ASIMMETRIE E RIBALTAMENTI

 

Levi è testimone esemplare dell’esperienza del Lager così come dell’analogia fra il Lager e l’Inferno dantesco. Le opere di Primo Levi stimolano una profonda meditazione su “ciò che è stato” e sul fondamentale compito morale della conoscenza e della memoria che tutti noi abbiamo. Di fronte a orrori indicibili come i lager nazisti talvolta le parole non bastano. Ciò che colpisce nella scrittura di Primi Levi è invece la sua chiarezza esplicativa, praticata all'insegna di un’economia linguistica che genera un’agilità espressiva scarna e priva di orpelli retorici affinché “tutti capiscano” e affinché la narrazione sia quanto più possibile precisa e oggettiva. Al di là di tale apparente semplicità, però, il dramma storico e personale di Levi annulla lo scarto tra esperienza e scrittura facendo riferimento ai grandi modelli culturali, tra i quali spicca l’Inferno di Dante. La tematica stessa del viaggio che nell’Inferno dantesco assume i caratteri di un percorso verso “il basso” della voragine infernale, passaggio tra l’umano e terreno e “un inumano” immutabile ed eterno è ben presente il Levi. Il viaggio di Levi e dei deportati inizia sui treni di mezza Europa dove si svolge la prima fase della tragedia, momento” in limine” che separa la cattura e il Lager. Per tutti i protagonisti il cammino di andata si configura come una condizione di eccezionalità, un’esperienza estrema collocabile tra due orizzonti di incommensurabile distanza: quello familiare, lasciato alle spalle, e quello “altro” che proprio sul treno comincia a rivelarsi e che Primo Levi definisce “incomprensibile”. Il campo è vissuto come un vestibolo infernale sul modello dantesco. Durante il soggiorno vi è una sospensione dello spazio e del tempo, sull’orlo di un abisso buio, sul quale - prima della partenza – scende la notte di un definitivo distacco, il punto di un “non ritorno”, di un impossibile “nostos” (ritorno a casa).

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